romagna arte e storia

Rivista di cultura

 

Pier Giorgio Pasini

LE DONNE DEL CAGNACCI
La vita e l'arte di Guido Cagnacci (1601-1663), uno dei più grandi pittori "sensualisti" del Seicento, segnate da un amore impossibile, interessi, intrighi e scandalose passioni

tratto dall'omonimo libro di 80 pagine e 29 illustrazioni a colori, stampato da Ramberti Arti Grafiche Rimini,, edito nel 1993 da romagna arte e storia s.a.s. editrice

 

Prologo: una giovanetta vestita da uomo

Teodora, la nobildonna riminese

Giovanna, l'orfana di Serravalle

Maddalena Fontanafredda, da Cesena

Lucrezia, la serva di Cesenatico

Virginia e Lucia, le sorelle bigotte

Codicillo

Il Cagnacci e le sue donne: cronologia

 

Prologo: Una giovanetta vestita da uomo

La considerazione per il pittore Guido Cagnacci è lentamente cresciuta fra gli studiosi del Seicento durante gli ultimi cinquant'anni; ed almeno il suo nome comincia ad essere abbastanza conosciuto anche ai non addetti ai lavori. Ma la sua vicenda umana continua a rimanere in buona parte sfuggente; è quella di un artista senza patria, senza maestri, senza protettori, senza famiglia; "instabile e inquieto, emotivo e influenzabile, e pur sempre originale fino alla stravaganza nella vita come nelle opere, romantico e mordace, sentimentale e drammatico, raffinato e volgare, pessimista e pur sempre attivo su sempre nuove strade, lunatico guascone errante del '600 italiano".

Questa definizione del Cagnacci come "lunatico guascone errante" è molto bella e veramente degna della tradizione romantica che vuole gli artisti sempre un po' fuori dalla realtà. Forse non è la più giusta, ma non è nemmeno gratuita; anzi ci sono motivi 'artistici' (la "vena complessa e volubile" sottolineata da Francesco Arcangeli) e documentari (notizie di spostamenti continui, di commissioni disattese in tutto o in parte, di contrasti artistici e di vicende giudiziarie) che la avvalorano, insieme a certa deviante letteratura settecentesca che ha dipinto il Cagnacci come un uomo brutto ("obesso, barbuto e tozzo"), ignorante ("d'altri studi fuorché della pittura digiuno") strano e forse anche cattivo ("genio bizzarro" e "mordace"); e soprattutto come un immorale, se non proprio un dissoluto, per via dei suoi nudi, o meglio delle sue 'nude' piene di sensualità.

A proposito di letteratura settecentesca sul pittore, va sottolineata anche per il nostro argomento l'importanza della ben nota raccolta di lettere edita a Venezia nel 1752 dal pittore riminese Giovan Battista Costa, che costituisce la prima vera ricerca documentaria sul Cagnacci. Si tratta della corrispondenza intercorsa negli anni 1741-1746 tra il fiorentino Nicolò Gaburri, il bolognese Giampietro Zanotti e appunto Giovan Battista Costa, con una prefazione, anch'essa in forma di lettera, di Giovanni Bianchi, alias Jano Planco, medico e antiquario riminese.

Il Costa fin dalla sua prima lettera corregge molti errori riguardanti il Cagnacci: ne precisa la patria, il nome e il cognome, osserva che il suo stile è "totalmente diverso" da quello del Reni e caratterizzato piuttosto da un "ardito e forte colorire. Poco può dire dell'uomo Cagnacci; ma accenna, senza precisarli, ad "alcuni racconti, che in queste nostre contrade passano tuttavia sulle bocche volgari". Giampietro Zanotti, rispondendo ad una precisa richiesta del Costa, afferma che dell'artista a Bologna esistono poche opere e che alcune sono state nascoste o vendute dai loro proprietari "per certo scrupolo", cioè perché i loro soggetti troppo audaci scandalizzavano: così il senatore Ghisileri, che possedeva una "molto bella mezza figura di una Donna ignuda"; ma anche gli Angelelli, che si erano appena sbarazzati di una Maddalena ormai divenuta "oltramontana" come tante altre opere; e così gli Isolani, nella cui casa una Lucrezia "più non vi è, potrebbe ritornarvi, ma nol credo, però sta a Bologna, ma questa è Storia da lasciar da parte". Dopo di che non può trattenersi dall'aggiungere un pettegolezzo: "Quando io era giovane ho conosciuto alcuni vecchi, che avevano avuta amicizia del Cagnacci, e diceano, che seco si conduceva sempre una Giovanetta vestita da Uomo, e che sembiante facea di essere un suo Servidore, e diceano, che da questa ricopiava quante femmine facea"; e conclude malignamente: "Anche V. S. avrà ciò saputo, ma l'avrà voluto tacere".

Nel 1741, dunque, a ottant'anni dalla morte e a quasi un secolo dalla sua sparizione dalla scena emiliana, ancora si mormorava del Cagnacci e addirittura ci si ricordava maliziosamente di una sua serva-modella. Sembra un'allegoria: e vengono in mente il Caravaggio "truce e fosco" con al seguito un cane tutto nero; lo Spada incerto e plagiario con una scimmia petulante; e, perché no?, l'ambiguo De Pisis con il suo policromo pappagallo. Beh, il romagnolo Cagnacci non si portava dietro né cani, né scimmie, né pappagalli, ma una bella ragazza: così gli schemi della più vieta 'romagnolità' sono appagati, ed è verificata la coerenza o corrispondenza fra la sua pittura sensuale e la sua vita sensuale. Purtroppo c'è un piccolo particolare stonato: la ragazza risulta "travestita da uomo"; e questo particolare potrebbe aprire ampi orizzonti alla fantasia dei moderni psicologi e farli sbizzarrire con tutto comodo sui "modi effeminati di un sensualista come il Cagnacci", "pittor dolce e carezzoso", dai sentimenti "morbidamente femminei", per dirla col Longhi; e far guardare con occhi 'diversi' gli ambigui efebi che popolano i cieli dei suoi quadroni forlivesi, i David vestiti e ignudi e così via. Perché "una giovanetta" vestita da uomo, mormorerà qualcuno, e non "un giovanetto" vestito da uomo? Sulla specifica questione non credo tuttavia si possano costruire, almeno dagli indizi di cui disponiamo, ragionevoli ipotesi di sessualità deviata. Si sarà trattato proprio di una ragazza che non doveva essere riconosciuta come tale, e che con l'espediente del travestimento, forse goffo e ingenuo, tentava di nascondere una situazione-relazione irregolare, giudicata sconveniente ed anzi scandalosa, quindi condannata dalla società e severamente punita - e non solo spiritualmente - dalla chiesa e dalla legge. Ma si può anche sospettare che si tratti di un'invenzione, di una fantasia postuma, magari ispirata proprio dai dipinti più noti dell'artista, per i quali ha fama di essere spregiudicato, sensuale, erotico : "ginecei e nude dette Cleopatre o Lucrezie... depilate e docili, rosee e fiorenti di sollecitate curve, per boudoirs di cardinale", caratterizzate da "una carnalità di biondi corpi in penombra, di sieste appagate, di intimità segrete, di peccato rivalutato...". Nella prima metà del Settecento ai buoni borghesi ed ai raffinati nobili di provincia che si trovavano in casa opere del Cagnacci era ben chiaro che i loro soggetti - fossero eroine classiche o allegorie morali, o addirittura 'sacre' - non erano che pretesti per raffigurazioni di sensuale raffinatezza; se questo fatto ormai turbava le coscienze, provocando censure o inducendo a vendite, come ci testimonia lo Zanotti, certamente poteva anche far nascere qualche... leggenda. Ma, nella sua 'documentata' brevità, la notizia dello Zanotti, forse già adombrata dal Costa ("alcuni racconti... sulle bocche volgari"), non ha l'aria di essere del tutto inventata; indirettamente lo dimostrano molte opere del pittore, che sembrano proprio ispirate da un'unica figure femminile ed esemplate ad un'unica modella. La notizia, anzi, potrebbe riguardare fatti o atteggiamenti di un qualche peso nella vita e nella carriera del Cagnacci, e tali da spiegarne per esempio i troppo frequenti spostamenti, o l'assoluta mancanza di commissioni ecclesiastiche nella fase matura della sua attività. Va comunque verificata: di fronte a fatti misteriosi, a comportamenti inspiegabili, vale sempre il classico "cherchez la femme".

Teodora, la nobildonna riminese

Solo di recente sono stati rintracciati, pubblicati e illustrati alcuni documenti di grande importanza per la comprensione di tutta la vicenda umana e, almeno indirettamente, artistica del Cagnacci. Qui è necessario riassumerli, ma riguardano una storia che sarebbe bello poter ricostruire e raccontare per esteso, ed anche sviluppare con la fantasia. L'attacco ottimale potrebbe essere quello già predisposto dalla tradizione per i migliori romanzi d'appendice: "Era una notte buia e tempestosa...".

A un'ora di notte fra il 21 e il 22 ottobre del 1628, nella casa di un carraro e marangone del borgo San Bartolo, subito fuori dalla Porta Romana di Rimini, viene arrestata dal bargello della corte episcopale la giovane contessa Teodora Stivivi vedova Battaglini, su richiesta dei suoi parenti (Oriana, Flaminio e Mario Ridolfo Stivivi, Ludovico Battaglini), mentre sta per scappare con il pittore Guido Cagnacci. L'arresto è reso possibile dal cattivo tempo che ha ritardato la fuga, e soprattutto dalla delazione ai Teatini del padre del pittore, Matteo, compreso della gravità della situazione in cui sta per cacciarsi il figlio, che già da due giorni aveva nascosto in casa sua la contessa Teodora con una figlioletta ed una serva.

Avrebbe dovuto trattarsi di una fuga d'amore, per costringere i parenti della gentildonna ad accettare un matrimonio che i due innamorati avevano in un certo senso già 'celebrato', dichiarando per iscritto la loro volontà in una 'polizza' controfirmata da due testimoni:

"A dì 20 ottobre 1628. Io Theodora Battaglina mi obligo e mi dichiaro di non volere altra persona che Guido Cagnacci per mio legitimo marito così li prometto e son contenta.
Io Theodora Battaglina mi obligo quanto di sopra et la presente poliza è scritta et sottoscritta di mia man propria.
Io Guido Cagnacci accetto quanto ha scritto la signora Theodora Battaglina de Stivivi nella presente polizza.
Io Bernardino Caffarelli fui presente come di sopra.
Io Domenico Fabbri fui presente quanto di sopra."

Con la fuga il matrimonio segreto avrebbe avuto la sua consumazione ufficiale, e quindi la sua ratifica ufficiale. Ma la fuga - evidentemente male organizzata e forse non premeditata - fallisce: prima l'inutile ricerca di cavalli a Rimini; poi un temporale che impedisce ai cavalli, finalmente trovati a Santarcangelo (dove il Cagnacci risiedeva con uno zio, Francesco Cagnacci), di giungere in tempo; poi la delazione di Matteo Cagnacci al padre teatino Tommaso da Carpegna, mentre già si stava cercando ovunque la Teodora; infine l'arresto della donna, ma non del pittore, che riesce a nascondersi nella vicina chiesa dei Carmelitani.

La contessa Teodora è accusata dai parenti (che per la relazione col pittore l'avevano già "minacciata di morte") di "mancamento del suo honore" e viene rinchiusa nel convento delle Convertite, un reclusorio per "femmine di mala vita"; in realtà si tratta solo di "interesse di robba, per privarla dell'aministratione dell'heredità di suo marito", come lei stessa denuncia coraggiosamente "alli signori cardinali della sacra Congregatione de' vescovi" in una supplica che vale la pena leggere integralmente:

"Theodora Stivivi ritorna di nuovo a supplicare le signorie loro illustrissime acciò si degnino ordinare a monsignor vescovo di Rimini che la faccia ridurre nella sua pristina libertà levandola dal monastero delle Convertite nel quale per interesse di robba e per privarla dall'aministratione dell'heredità di suo marito e cura dei suoi figli è stata collocata sotto frivole e vane pretensioni calumniandosi indebitamente sotto pretesto che habbi tentato far mancamento del suo honore, il che è falso come già per tante fede legali de confessori et altri religiosi eminenti di quella città si è mostrato alle signorie loro illustrissime. Il tuto oltre pare sia di giustitia lo riceverà per gratia. Quas Deus etc.. "

Ma ogni sua protesta ed ogni testimonianza in suo favore risultano vane. Teodora potrà uscire dal convento-prigione solo dopo un paio d'anni, e solo a patto di sposare il giovanissimo nipote Vincenzo Ricciardelli, che aveva almeno un decina d'anni meno di lei, ma che per età e condizione era l'unico parente in grado di farlo. Si trattava chiaramente di un espediente della famiglia per non disperdere "la roba" (e tanta se ne era accumulata nelle mani di Teodora, ereditata dai Battaglini e dagli Stivivi!), perfezionato dal forzato ingresso in convento dell'unica figlia superstite del primo marito, monacata col minimo di dote a soli tredici anni nel 1637, dopo aver 'volontariamente' rinunciato ai suoi diritti sull'eredità familiare.

Tempi duri e crudeli, dove ben poco contavano i sentimenti personali, si dirà; ma questo è già ben noto per tanti altri innumerevoli e ben più illustri esempi. Quel che importa sottolineare qui è che proprio questo contratto di matrimonio e questa tentata fuga d'amore potrebbero aver fortemente inciso su tutta la vita del Cagnacci. Sappiamo con certezza de l "gran scandalo e mormoratione della città" che essi avevano suscitato; del resto si trattava di una trasgressione gravissima all'ordine costituito, che si configurava come un vero e proprio crimine sociale. Dunque, come condizionò la vita di Teodora - per sempre in semplice libertà vigilata, o agli arresti domiciliari in seno alla famiglia grazie al matrimonio col giovane nipote - potrebbe aver condizionato anche quella del pittore, che d'ora in poi troveremo sempre lontano dalla propria città e sempre in movimento, come in fuga; si fermerà solo a Venezia, cioè fuori dallo Stato della Chiesa, molti anni dopo, e sotto falso nome. Ma vediamo come si sviluppa questa storia.

Il "negotio" di Guido e Teodora, cioè il tentato matrimonio e la fallita fuga, che ovviamente i Battaglini e gli Stivivi avrebbero voluto "sopito e segreto", ebbe un lungo seguito perché il pittore continuò a lungo a chiedere che il contratto - stipulato liberamente fra persone libere e maggiorenni e alla presenza di due testimoni - venisse onorato almeno dal punto di vista economico; così, sconsideratamente, dopo aver attentato all'honore, egli attentava al patrimonio di quelle illustri casate. Ancora nel 1632, infatti, inviava alla Sacra Congregazione dei Vescovi (o al Cardinal legato?) la "polizza" originale del suo contratto di matrimonio e insisteva che gli venisse resa giustizia, sottolineando la questione della dote, sulla quale si dimostra anche troppo minutamente ed esattamente informato.

"Eminentissimi signori padroni colendissimi
Sà che molte volte I'glio importunati del negotio della Teodora, ma perché hora ho ritrovato a caso nelle scritture l'inclusa fede fatta di mano propria della Teodora con testimoni e confermata da me, perciò mi parrebbe che detta Teodora dovesse essere astretta a consentire, perciò vostra eminenza reverendissima farà quello che di giustitia si deve, ordinando che si debba di giustitia fare quid iuris servatis servandis con quelli sue competenti dotti, ciove la sua dota delle mili scudi e li quaranta scudi alano che li lassò il signor capitano Bataino à bona memoria della dimostraciona con li doi legitime delli suoi figliolo morti, è non mi sia fatto torto ciò facendo vostra eminenza reverendissima oltra l'atto di giustitia sempre gli sarò obligatissimo li bacio la veste di Rimini a dì 7 di marzo 1632.
Di vostra eminenza humilissimo servo Guido Cagnacci"

Chissà quale 'azzeccagarbugli' locale consigliava (e magari istigava) il pittore, suggerendogli e dettandogli lettere come questa, con richieste tanto sfrontate quanto ingenue, che probabilmente ebbero il solo effetto di convincere i parenti ad accelerare le nozze della Teodora col nipote e ad aumentare la frequenza delle intimidazioni contro il Cagnacci, che era tornato a farsi vedere a Rimini da qualche mese, dopo aver ottenuto un rescritto favorevole dal Presidente della Provincia di Romagna, Ottavio Corsini, ed aver pagato una forte somma (15 scudi di 11 paoli e mezzo papali: una multa o cauzione in cambio del bando dalla città che gli era stato inflitto?) al rappresentante del Tesoriere di Romagna,Paolo Spada.

Comunque al Cagnacci non venne resa giustizia, né gli fu mai data una qualche risposta ufficiale, a quanto risulta; ma fu ben presto costretto a scomparire dalla scena cittadina per parecchi anni.

Dai documenti riguardanti la fallita fuga d'amore emerge un particolare interessante: Teodora si era recata all'appuntamento con il Cagnacci travestita da uomo: "con un cappello negro in testa, un ferraiolo, un colletto bianco, un paro di calzoni di colore, le legacce che pareva un homo"; il ferraiolo era "vecchio di panno mischio e verdone con un colletto di pelle rosso", precisa anzi il capo del bargello, Flavio Ferri, che l'aveva sequestrato come corpo di reato.

Sarà stata dunque la Teodora quella "Giovanetta vestita da Uomo, che sembiante facea di essere un suo Servidore, e diceano,che da questa ricopiava quante femmine facea"? Un fatto strano accaduto più di cent'anni prima poteva ben essersi ingigantito, deformato, trasfigurato nei racconti "usciti da bocche volgari". Ma sembra impossibile che la fantasia popolare abbia trasformato una gentildonna, anche se ritenuta leggera e innamorata, in servitore e modella. E poiché la frequentazione dei due amanti fu sicuramente limitata solo ad alcuni mesi del 1628, non può certo essere lei la modella che compare così spesso, anzi costantemente, nei suoi dipinti per molti anni. E' impossibile che un pittore come il Cagnacci, sostanzialmente naturalista e per sua stessa ammissione incapace di dipingere senza modello neanche un Gesù Bambino, abbia ritratto a memoria la 'sua' donna per anni e anni. Se in qualche sua opera è possibile ipotizzare un ritratto della Teodora, sarà nell'intensa Madonna col Bambino riaffiorata solo di recente tra i dipinti di casa Strozzi, che per motivi stilistici potrebbe essere datata appunto a quel momento; o nella bellissima Madonna-bambina della pala dei Carmelitani di Rimini, un'opera di appena qualche anno posteriore, ma a cui forse il Cagnacci stava già pensando, destinata alla chiesa di San Giovanni Battista (proprio quella in cui riuscì a rifugiarsi all'arrivo del bargello, evitando l'arresto).

Giovanna, l'orfana di Serravalle

Il 15 aprile 1636 una certa Giovanna, quondam magistri Sebastiani muratoris di Serravalle, ma un tempo abitante a Rimini, si presenta ad un notaio riminese e dichiara di voler donare tutti i suoi beni al pittore Guido Cagnacci. Il notaio vorrebbe registrare il motivo di tanta liberalità, ma la donna rimane sulle sue: hanc autem donationem... fecit erga dictum Guidum presentem quia sibi facere placuit et placet. Si riserva solo poche cose, nell'eventualità le servano in futuro come dote.

Non conosciamo né l'età, né il cognome di questa donna, orfana e forse sola, sicuramente maggiorenne perché libera di disporre di sé e delle sue sostanze. Per ora nessun'altra notizia documentaria è affiorata su di lei, a dare concretezza alla sua figura, alla sua vita; sicché potremmo anche dimenticarla, o 'accantonarla' fra i tanti misteri del Cagnacci. Tuttavia è proprio da questo momento che nei quadri del pittore comincia ad apparire sempre una stessa figura di donna, prima giovanetta, poi nel fiore della maturità. Potrebbe certo trattarsi di pura coincidenza; ma è difficile sottrarsi alla suggestione della "Giovanetta vestita da Uomo" al seguito del pittore, che "da questa ricopiava quante femmine facea".

Dunque si chiama Giovanna; entra nel destino di Guido e si lega alla sua vita donandogli tutto ciò che ha; e lo segue docilmente: serva, modella, amante. Rinuncia a tutto, anche alla sua identità di donna, per seguirlo senza suscitare scandalo, uno scandalo che danneggerebbe la reputazione dell'uomo e la carriera dell'artista, e forse con la speranza che un giorno egli la possa e voglia sposare. Ora certamente non può, non è 'libero'. C'è in ballo, infatti, la questione della Teodora; una cosa seria, con un contratto scritto che prima o poi dovrà essere onorato, almeno per quanto riguarda la dote. E' vero che la nobildonna si è risposata, ma la 'polizza' che il Cagnacci ha in mano potrebbe invalidare quel matrimonio e, in ogni caso, dovrebbe fruttare più di un migliaio di scudi. Un ricatto? No, un diritto: quod iuris servatis servandis, come appunto aveva scritto il Cagnacci alla Sacra Congregazione; ma bisogna fare attenzione ai passi falsi, alle decisioni avventate. Un matrimonio, ma anche una dichiarata convivenza, in questo momento porterebbero automaticamente alla decadenza di ogni diritto nei confronti della dote della nobildonna: per cui la Giovanna badi a traverstirsi bene per non suscitare sospetti.

Già nel 1637, ad Urbania, la Giovanna posa, rannicchiata, da Maddalena, fingendo un'estasi tutta languidi sospiri. Sospiri più da innamorata che da santa. E l'artista dipinge il suo corpo giovane e morbido, la sua carne chiara, i suoi lunghi capelli di seta. Non hanno torto le monache di San Benedetto a giudicare un poco scollacciata quell'immagine destinata all'altar maggiore della loro chiesa, e nel pretendere correzioni.

Eccola poi a Forlì impersonare un giovane san Giovanni Evangelista in una grande pala forse dipinta per la nuova chiesa dei Filippini: la sua figura flessuosa ed elegante vestita di verde, il volto rotondetto, le labbra piccole e sensuali semiaperte in un'espressione di stupore, mal si adattano a raffigurare un personaggio maschile. A Forlì posa travestita anche da santo guerriero, da paggio, da angelo per i "quadroni" della cupola della Madonna del Fuoco in Cattedrale, commissionati nel 1642; e ancora, seminuda, da Lucrezia, da Cleopatra, da Maddalena.

I pochi anni forlivesi del Cagnacci - quattro o cinque, non di più - furono probabilmente abbastanza sereni: nel contratto per la prestigiosa decorazione della cupola della Madonna del Fuoco i fabbricieri lo avevano definito "pittore reputato et stimato, più d'on'altro idoneo et sufficiente", assegnandogli un compenso pari a quello dei reputatissimi Albani e Sacchi; non esistevano sulla piazza concorrenti temibili, e la nobiltà si interessava alla sua arte e gli commissionava opere da chiesa e da stanza. La sua tavolozza si schiariva, diventava sempre più ricca, luminosa, gioiosa: i "quadroni", che raffigurano San Valeriano e San Mercuriale in gloria, vivaci per il colore squillante, splendidi per la luce chiara, efficaci per l'eloquenza barocca dei personaggi, erano riusciti due veri capolavori. Il cavalier Giuliano Bezzi, "lo Sterile Accademico Filergita", aveva composto dei sonetti encomiastici per il pittore e, scherzando sul suo cognome, aveva sottolineato la sua capacità di dare concretezza e naturalezza alle figure dipinte ("massimamente per l'impasto della carnagione", come poi acutamente noterà il Costa):

Un Can per involar la carne viva
Dà di morso con l'arte a la Natura,
Onde si ben ravviva
(Stupor!) la tua Pittura,
Che per vera non pinta
L'huomo rapisce al Can la carne finta ().

La Giovanna è sempre al fianco del Cagnacci, travestita da servitore. Ma la sua vera identità di donna non sarà passata inosservata a lungo; avrà anzi suscitato perplessità e curiosità, fantasie, pettegolezzi scandalizzati sulle "bocche volgari", pian piano messo in forse la reputazione del pittore. Reputazione che però dovette avere un crollo netto solo col rientro a Forlì del protonotario apostolico Guglielmo Gaddi, nell'inverno fra il 1643 e il 1644. Il Gaddi era stato per un biennio Governatore di Rimini per la Sede Apostolica; e a Rimini di sicuro i gentiluomini locali avevano avuto modo di informarlo minutamente sui trascorsi di quel pittore: forse buon artista, ma certo pessimo cristiano, se aveva osato mettere gli occhi su una giovane vedova appartenente al ceto nobile, offendendo l'onore delle maggiori casate riminesi: infatti aveva cercato di rapirla e di sposarla illegalmente, e in seguito aveva continuato a rivendicarne caparbiamente la dote, senza mai abbandonare l'assurda pretesa, pur avendo altre storie di donne e pur vivendo moreuxorio, da scomunicato, con la ragazza-finta-servo che glifaceva da modella; era stato bandito dal territorio riminese, dove anche sul lavoro aveva dimostrato poca serietà, come dimostrava l'interruzione dei lavori per la confraternita del Santissimo Sacramento di Saludecio.

Ad un tratto il Cagnacci dovette trovarsi molto isolato, a Forlì; nel 1644 riuscì a consegnare i due "quadroni" per la cappella della Madonna del Fuoco, ma non riuscì a farsi riconfermare la decorazione a fresco della cupola, mentre i Preti dell'Oratorio respingevano il suo quadro con il San Giovanni, troppo giovane, troppo effeminato, troppo teatrale, troppo profano, e si rivolgevano alla moralissima bottega del casto Guercino (da cui poi otterranno un San Giovanni così vecchio da sembrare un San Girolamo, per mano di Bartolomeo Gennari). L'ambiente forlivese si era fatto improvvisamente diffidente e ostile; le committenze ecclesiastiche pubbliche, quelle che danno un reale prestigio, erano completamente, definitivamente perdute (e lo saranno per sempre); sicchè il lavoro del pittore da questo momento sarà limitato a pochi quadri "da stanza" per clienti spregiudicati, o ingenui, o stranieri, che chiedevano soprattutto Lucrezie, Cleopatre, Maddalene: a cui la Giovanna, con un'aria sempre un po' troppo languida e stupita, prestava docilmente il suo volto, il suo seno, il suo corpo.

Ormai erano dieci anni che Guido dipingeva la Giovanna, ne scrutava i lineamenti e la figura, ne registrava il lento mutare. La giovinezza, così com'era precocemente fiorita, velocemente maturava e svaniva; le forme si appesantivano e a poco a poco perdevano la loro armonia. Non era più una giovanetta quando posava per la Cleopatra e per la Lucrezia ora conservate a Bologna. Certo il pittore continuava a guardare e a ritrarre con simpatia il suo volto dolce, il suo corpo tenero e pieno, caldo e paziente, che lo stile, la consuetudine (e, chissà, forse anche l'amore) trascrivevano in versioni sempre più idealizzate e insieme concrete, di un naturalismo sensuale ingenuamente scoperto.

La Giovanna aspettava inutilmente che il 'suo' Guido si decidesse a sposarla; continuava a posare per lui, a servirlo, a seguirlo in abiti maschili; dopo le rivelazioni del Gaddi, però, la sua situazione si era fatta precaria e ogni finzione era diventata inutilmente imbarazzante; d'altra parte a quella data doveva essere davvero difficile castigare in abiti maschili un corpo femminile divenuto fiorente e anzi anche troppo florido.

Come è stato detto, nessun documento oltre a quello del 1636 ci parla della Giovanna: della sua età, del suo aspetto, del suo carattere, della sua devozione al pittore; di lei ci parlano tuttavia, e con grande ricchezza di particolari, i quadri del suo uomo. Ed è suggestivo pensare a lei come alla giovanetta travestita che aveva colpito l'immaginazione popolare e di cui cent'anni dopo talvolta ancora si mormorava a Rimini e a Bologna, durante le veglie estive davanti alle porte dei borghi, nelle osterie della piazza, nei salotti buoni della borghesia.

Ma è certo che questa donna umile, fedele e remissiva non riuscì mai a far dimenticare del tutto l'altra innamorata, la bella Teodora, che ci appare come il suo esatto contrario: nobile e ricca, leggera e capricciosa, condizionata negli affetti e negli affari; e soprattutto piena di un fascino invadente. Guido non la dimentica, non la vuole (o non la può?) dimenticare; con la scusa del contratto e della dote continua a tenere aperto un contenzioso francamente assurdo, che gli provoca solo dispiaceri ed emarginazione ovunque; e che alla lunga finisce per creare una barriera di disagio e di incomprensione anche fra lui e lasua semplice compagna. Che, non sappiamo come e quando (forse poco dopo le rivelazioni del Gaddi, comunque prima del 1448), sparisce dalla scena, cioè dalla sua vita e dalla nostra storia.

Maddalena Fontanafredda, da Cesena

Da Forlì Guido Cagnacci doveva tenere i contatti soprattutto con la famiglia della madre, a Cesena: la nobile famiglia Serra, in cui si distingueva il cugino Cristoforo Serra, "Capitano di milizie e pittore", che come lui era stato a Roma e alla scuola del Guercino. A Cesena Guido e Cristoforo avevano amici e colleghi comuni, come un certo Roberto Gué, o Goer, pittore francese che vien detto nei documenti "di origine burgunda" e che è presente a Cesena almeno dal 1634 al 1654. Quando il Cagnacci farà da padrino di battesimo ad un suo figlio, che fu chiamato Guido, il 20 ottobre 1646 (due anni prima il Serra aveva fatto da padrino ad una figlia del Gué, Giacoma), doveva aver già lasciato Forlì, cacciato dalle mormorazioni, dalle calunnie e dalle denunce. Il 22 ottobre del 1647, scrivendo nel suo traballante e anzi sgangherato italiano ignaro di ogni ortografia al marchese Giuseppe Albicini, a Forlì, dava sfogo così a tutta la sua amarezza: "Se bene sia stato scrito contra della mia persona la verità si sapera e son state Genti di forlì ma ogni cosa rimeto Indio. Non saro più di fastidio". Scriveva da Faenza, dove aveva ottenuto la protezione di monsignor Virgilio Spada e da dove cercava, tramite il cardinal Bernardino Spada, il favore del pontefice. Ma tutto sarebbe risultato inutile. Forse non sospettava che i nobili riminesi erano ben presenti alla corte pontificia, indirettamente e direttamente, e che non abbassavano la guardia. Il "negotio della Teodora" li interessava più che mai: si trattava di una questione di principio riguardante tutta la 'categoria', ancor più che di una questione di giustizia. Perciò non potevano aver pace fino a quando non si fosse concluso definitivamente: cioè con la morte del caparbio pittore, o con la sua resa incondizionata alle loro ragioni.

Il Cagnacci, ormai errante, soprattutto abbandonato dai committenti ecclesiastici e incalzato dalle minacce, nel 1648 è costretto a lasciare anche Faenza ed a fuggire dallo Stato della Chiesa. E va a Venezia, che è una buona piazza internazionale per un pittore senza protettori, e dove nessun bargello vescovile ha potere di investigazione e nessun sicario è sufficientemente protetto; in ogni modo, per prudenza, modifica sensibilmente le sue generalità: Guido Ubaldo Canlassi da Bologna. Il cognome è venetizzato, ma il nome rievoca le origini marchigiane della sua famiglia (in omaggio ai Guidubaldo duchi di Urbino), mentre la provenienza 'dichiarata' rimanda alla città in cui ha ricevuto la sua prima educazione all'arte, resa prestigiosa dai nomi celeberrimi di Guido Reni e del Guercino.

In effetti a Venezia non doveva essere facile scovarlo: il dottor Nicolò Bartoli e il signor Giovanni Pedroni, due amici di Santarcangelo che lo volevano salutare, "stentarono molto a trovare la casa ove abitava, e dopo averla trovata, chiesto del Sig. Guido Cagnacci da S. Arcangelo, alcuni giovani di lui Scuolari risposero, che ivi abitava il Sig. Canlassi Pittore Bolognese, e non il Sig. Cagnacci da S. Arcangelo, onde credendo essi di avere preso sbaglio, mentre stavano per partirsi sopragiunse Guido, che era fuori, e il riconobbero pel vero Cagnacci".

L'esilio veneziano comincia vent'anni dopo la 'disperata' storia d'amore di Guido e Teodora. Può sembrare una forzatura mettere in relazione i due fatti. Dopo tanto tempo la questione con la Teodora avrebbe dovuto essersi risolta, se non dimenticata; anche perché il matrimonio della gentildonna con il nipote, celebrato nel 1632, aveva subito 'fruttato' due figli maschi che costituivano la miglior garanzia della validità e del successo di quella unione; mentre la brutalità con cui le famiglie si erano sbarazzate della prima figlia di Teodora (e legittima erede di un notevole patrimonio) chiudendola in convento, aveva dimostrato che anche ogni rivendicazione puramente patrimoniale, anche la più giusta, sarebbe stata ostacolata e respinta con ogni mezzo. Insomma, intorno alla metà del secolo doveva essere ben chiaro al Cagnacci che un'eventuale sua ostinazione a reclamare giustizia sarebbe stata oggettivamente assurda e gli avrebbe procurato solo altre ritorsioni, altro disprezzo, altra emarginazione. La cosa decisamente migliore per lui - che non era più un ragazzetto - sarebbe stata quella di dimenticare il fascino e la dote della Teodora; se non l'aveva ancora fatto doveva affrettarsi a farlo, e poi magari concludere la lunga e scandalosa, e forse un po' ridicola relazione con la Giovanna sposandola: solo a questi patti avrebbe potuto finalmente mettersi quieto e, se credeva, anche stabilirsi in Romagna, dove la sua valentia era conosciuta ed apprezzata.

Evidentemente il pittore non la pensava a quel modo, cioè non intendeva 'dimenticare' se, pur di non perdere i suoi diritti di 'sposo' della Teodora, si era deciso a licenziare la Giovanna e poi addirittura a scappare e a nascondersi fuori dallo Stato. Ma per dover scappare e nascondersi così qualcosa di particolarmente grave, di particolarmente minaccioso deve essergli accaduto.

Credo che a questo punto vada tenuto presente un avvenimento luttuoso non insperato, e forse neanche inatteso, riguardante la Teodora: cioè la morte del suo secondo marito, il giovane conte Vincenzo Ricciardelli, avvenuta nel novembre del 1648 (), proprio in coincidenza con la fuga del pittore a Venezia.

Mi guardo bene, si badi, dal sospettare il Cagnacci di omicidio. Più semplicemente immagino - e di pura immaginazione si tratta, perché anche in questo caso manca ogni documento - che la nuova vedovanza della Teodora abbia riacceso le speranze e le pretese del pittore. E immagino un suo precipitoso ritorno a Rimini per reclamare i vecchi diritti sventolando la 'polizza' di vent'anni prima. E immagino anche l'ovvia, durissima reazione delle famiglie Battaglini, Stivivi e Ricciardelli, più che mai unite e determinate a sbarazzarsi definitivamente di quell'individuo che costituiva un vero pericolo sociale con le sue continue, rozze trasgressioni, con le sue volgari pretese: ignobile corruttore di nobili vedove e di giovani orfane. Davvero, a quel punto, il Cagnacci aveva motivo di espatriare e di nascondersi per sfuggire non solo alle calunnie ed alle minacce, ma anche ad eventuali sicari prezzolati dall'esasperata nobile parentela di Teodora.

Questa potrebbe essere anche la fine del nostro racconto, ormai da chiudere in fretta con appena un pensiero per la bella Giovanna di Serravalle, che si è completamente persa fra le pieghe oscure di questa storia senza poter coronare il suo sogno d'amore (e ne avrebbe ben avuto il diritto) sposando l'uomo a cui aveva consegnato onore e dote più di dieci anni prima. Senonché proprio a questo punto compare sulla scena una terza donna. Infatti a Venezia, e precisamente nella centrale ed animata parrocchia di San Giovanni Crisostomo, vicino a Rialto e a due passi dai fondaci più importanti, nel dicembre del 1648 (o all'inizio del 1649) il pittore approda in compagnia di una certa Maddalena Fontanafredda, del quondam Domenico, da Cesena. Forse l'aveva conosciuta presso i Serra, o dall'amico "burgundo" Roberto Gué, o altrove durante i suoi frequenti soggiorni cesenati degli ultimi anni.

La Maddalena sostituisce la Giovanna; anch'essa probabilmente gli fa da serva, compagna, amica, amante, modella; però non si illuda: neanche lei il pittore potrà sposare, per non perdere i famosi 'diritti' sull'ormai mitica, favolosa dote della contessa riminese.

Non sappiamo quando il Cagnacci avrà finalmente capito che per lui, ormai, la Teodora non era altro che un'ossessione invadente e frustrante, una continua fonte di infelicità e di delusioni. Alla Teodora pensava di certo dipingendo quella stupenda, curiosa e misteriosa tela degli anni veneziani che raffigura Una donna che batte due cagnacci, ora nella raccolta Borromeo all'Isola Bella; che potrebbe proprio essere una sottile allegoria della sua condizione, come ha ben intuito Francesco Arcangeli: "Non possiamo trattenerci dal pensare che il Cagnacci abbia voluto simboleggiare il potere di qualche donna (o forse della donna) su di lui, probabilmente avviato alla vecchiaia".

Maddalena starà con il Cagnacci ininterrottamente per almeno dieci anni, come nel 1661 testimoniava il pittore siciliano Giuseppe Bonanni: "E' stata sempre in Venezia nella detta casa [del pittore], et in un'altra là vicina, sino già doi anni e mezzo in circa, che partì col medesimo signor Guido e non è più ritornata". E il doratore Cesare Pizzenghi confermava: "Conosco Maddalena figlia del quondam Domenico Fontanafredda da Cesena, che sono circa undeci anni, con occasione che stava in casa del signor Guido Cagnazzi Pittor a San Giovanni Crisostomo, ove stavo anche mi vicino [...]. La detta è stata sempre in Venezia sino già doi anni e mezzo in circa che andò fuori col medesimo Signor Guido, e non è più ritornata".

Le donne 'veneziane' del Cagnacci somigliano a quelle che aveva dipinto precedentemente, ma nello stesso tempo sono abbastanza diverse; sono bionde e non brune, hanno una figura più asciutta, carni più sode e un volto maggiormente caratterizzato. Si veda per esempio la luminosa, bellissima Europa della collezione bolognese Molinari-Pradelli; o quell'indubbio capolavoro che è la Conversione della Maddalena di Pasadena. Potrebbe essere proprio la Maddalena cesenate la modella che ha posato per questi e per tanti altri quadri 'profani' del Cagnacci del periodo veneziano e del periodo viennese, tutti di grande successo: caratterizzati da una pittura luminosa e limpida, raffinatissima, da un realismo filtrato, da una concretezza e da una sensualità naturali prive di malizia e volgarità. Di lei ci rimane anche una sorta di commovente ritratto: si tratta di una teletta comparsa solo di recente sul mercato americano (ma proveniente da Mainz), con una Santa che legge, priva di ogni attributo di martirio e di identificazione: ha solo una sottilissima aureola. Una Madonna? e perché non una Maddalena? e perché non un ritratto della 'nostra' Maddalena cesenate, la modella e compagna del pittore, che sulla scollatura dell'abito vi ha scritto a tutte lettere il suo nome, quasi una dedica affettuosa? La figura, concreta e ideale, dolce e tenera, risplende radiosamente giovane nella luce meridiana, gli occhi abbassati sul piccolo libro d'ore tenuto aperto da delicate, piccolissime mani, contro una tenda aperta sul cielo azzurro, come in un attimo di sospesa felicità.

"Partì col medesimo signor Guido e non è più ritornata", affermano concordi i testimoni veneziani. Mi piace sapere che sia partita col Cagnacci, e voglio credere per la sua stessa destinazione, cioè per la corte imperiale di Vienna; e mi conforta in questo pensiero il fatto di ritrovarla come protagonista nella Morte di Cleopatra di Vienna, dipinta con la stessa delicatezza, idealizzata con lo stesso amore dei quadri veneziani; così come voglio credere che nel nuovo ambiente e lontano dai consueti affanni sia finalmente riuscita a legare a sé in maniera definitiva quel pittore inquieto e a liberarlo dall'ossessione della Teodora e della sua dote.

Le uniche informazioni che abbiamo sulla Maddalena derivano dalle due testimonianze surriferite, rese a Venezia per documentarne lo 'stato libero'; uno 'stato libero' - che in realtà dimostrava l'esistenza di un legame duraturo, da 'regolarizzare' - richiesto evidentemente in funzione di un matrimonio da celebrarsi. Non sappiamo nient'altro di positivo; ma non sarà un peccato grave, spero, ipotizzare che il promesso sposo fosse il nostro pittore. Le deposizioni dei testi sono dell'autunno del 1661;il responso delle diocesi di Cesena e di Venezia potrebbe essere arrivato a Vienna durante l'anno successivo. Ma forse la Curia riminese tergiversò, al solito, perchè sulla giovanile vicenda della Teodora non si era mai fatta ufficialmente (e soprattutto liberamente) chiarezza: ora che l'antica fidanzata era vedova,l'artista poteva essere considerato veramente 'libero' da impegni matrimoniali o 'moralmente impegnato', come lui stesso, del resto, aveva sempre sostenuto?

Purtroppo nel 1663, e presumibilmente nei primissimi mesi, Guido Cagnacci, pittore dell'imperatore Leopoldo I, si spegneva a Vienna nel modesto appartamento assegnatogli dalla cesarea corte e, come ci informa Giovan Battista Costa (non sappiamo quanto esattamente), "nell'Aulica Chiesa de PP. Agostiniani Scalzi ebbe il suo Cadavere onorevole sepoltura" (). Aveva 62 anni, e a Venezia era reputato il pittore "che occupa il primo luogo nel colorito" e veniva "generalmente proclamato per il primo pennello de nostri tempi", secondo quanto afferma il Martinoni nel suo 'catalogo' pubblicato proprio nel 1663.

Della Maddalena né il Costa né altri mostrano di avere notizie. Non ci rimane che registrare mestamente un altro fallito matrimonio e rassegnarci ad accantonare ancora una volta, e ormai per sempre, quello che va considerato ancor oggi il finale migliore per le storie d'amore, e in genere per tutte le storie: "... e vissero felici e contenti".

 

Lucrezia, la serva di Cesenatico

Tutti i protagonisti di queste vicende escono a poco a poco di scena sconfitti, anche la donna che ne è all'origine, cioè la bella contessa Teodora Stivivi, già vedova Battaglini e poi vedova Ricciardelli, che in gioventù ha dimostrato fascino, passione, coraggio, temperamento. Giustamente Masetti Zannini ha scritto di lei: "... pagò i privilegi della nascita e della roba con la privazione della libertà fisica e morale, con la rinuncia ai suoi affetti più sinceri, ai quali si era abbandonata con l'ardore degli anni e della passione. Persino la fredda lettera di molti documenti notarili evidenzia questo dramma complesso e lascia in chi li esamina un profondo senso di pena per tali vicende e di compassione per quella donna che appare ai nostri occhi nella sua grande infelicità, più che nelle colpe da lei duramente espiate". Proprio perché è una delle principali protagoniste del racconto, prima di ricapitolare e di scrivere la parola "fine" forse non sarebbe male cercare di assumere qualche informazione supplementare sui suoi ultimi anni.

Durante la seconda vedovanza certamente il suo comportamento non è stato 'sconsiderato' come durante la prima: passata fra le braccia di un donzello del Comune, certo Gian Paolo Segantini, da lei ampiamente soddisfatto di amplessi e anche di soldi (in parte investiti nell'acquisto di una barca da pesca) fino a quando non era stato incarcerato nelle segrete del palazzo vescovile per sottrarlo all'ira dei parenti dell'amante ("Per evitare acciò non fosse ammazzato, non volendosi levare da detta prattica", secondo la credibile dichiarazione del pescatore Fiorentino Fiorentini); e poi fra le braccia del nostro Cagnacci fino alla tentata fuga con lui. Durante quella vedovanza la Teodora aveva veramente fatto disperare i parenti e mormorare tutta la città; non era certo cattiva, ma appassionata e leggera, anzi sventata e sentimentale. Col primo amante era stata vista non solo abbracciarsi e baciarsi, "pratticcare" a tutte le ore del giorno e della notte, amoreggiare, ridere, scherzare, ma anche piangere: sui suoi sentimenti, sulle sue contraddizioni, sulla sua condizione.

All'inizio della seconda vedovanza la Teodora non ha più ventinove anni, ma cinquanta; due mariti e due figli le sono stati strappati dalla morte, e una figlia dall'egoismo dei familiari. Ad ogni modo la sorveglianza della cognata-suocera Silvia Ricciardelli sarà stata per quanto possibile oculata e ininterrotta; mentre le cure dei due figli superstiti (di quindici e di dodici anni), della casa e del patrimonio familiare le avranno a poco a poco occupato la mente e i sensi. I documenti diretti sono assolutamente muti sul suo comportamento, e non è stato finora possibile cogliere nemmeno qualche mormorazione sul suo conto in documenti indiretti. E così dobbiamo 'rassegnarci' a pensare che, almeno formalmente, abbia tenuto una condotta del tutto irreprensibile e fatto una vita abbastanza appartata, proprio come si conveniva ad una ricca vedova dell'alta nobiltà.

Ma i pochi lettori superstiti di queste strane storie mi permettano di citare ancora due fatti, o meglio due documenti.

Il Cagnacci abitò e tenne bottega a Venezia per un decennio - il più lungo periodo di stabilità della sua vita - fino alla sua partenza per Vienna. Sembra proprio non avesse alcun motivo per tornare in Romagna alla vigilia di quel viaggio, nemmeno per regolare eventuali affari di famiglia, già da lungo tempo sistemati. Dunque è una vera sorpresa trovarlo improvvisamente, nel settembre del 1658, a Cesenatico, dove forse era già conosciuto perché, tanti anni prima, vi aveva dipinto almeno un quadro per l'oratorio della Confraternita di San Giuseppe. Questa volta, però, il Cagnacci non era a Cesenatico per questioni di lavoro, ma per acquistare una casetta (forse di legno, perché il notaio la definisce "capanno") proprio sul porto. Ne conosciamo l'esatta ubicazione, quasi sul molo di destra, grazie ad una preziosa pianta coeva della cittadina. Misterioso acquisto, si direbbe, ed incerto investimento, dato che non venne data in affitto e anzi chi già l'abitava fu sistemato altrove. Può darsi che volesse impiegare parte dell'anticipo avuto per l'ingaggio viennese in una zona che, grazie all'annuale fiera di San Giacomo, poteva dare una qualche rendita ed avere un certo sviluppo; o fare un regalo (una specie di 'benservito') alla sua compagna-modella Maddalena che, come si ricorderà, era di Cesena (ma l'atto notarile è chiaramente intestato solo al pittore); o procurarsi un pied-à-terre stabile. Ma perchè così lontano da Venezia e proprio in Romagna, dove non era certo 'gradito'?

Comunque sia la notizia in sé non sembra avere una grande importanza e in ogni caso non ha seguito (se non che la casa andò a fuoco una cinquantina d'anni dopo, e che per più di un secolo se ne videro i resti bruciati, che nessuno rivendicava). Mi piace però accostarla maliziosamente a quest'altra: in un codicillo testamentario del 1681 la vecchia contessa Teodora Ricciardelli si dimostra particolarmente generosa con una sua cameriera, certa Lucrezia, moglie di Giacomo Morri, di Cesenatico. Anche questa notizia non ha seguito documentario. Ma non mi sembra del tutto improbabile che Cesenatico, col suo porto che costituiva quasi una tappa d'obbligo negli itinerari marittimi fra Venezia e Rimini, grazie alla Lucrezia possa essere stato il luogo di segretissimi incontri fra il pittore e la sua contessa. D'altra parte di storie di serve ruffiane abbonda la letteratura di tutti i tempi.

Virginia e Lucia, le sorelle bigotte

Queste storie di donne, così mescolate di sentimenti e interessi, di ribellioni e convenzioni, per quanto labili e misteriose (e suscettibili di modifiche e precisazioni, come pure di ulteriori, romanzeschi sviluppi), forse non gioveranno alla 'reputazione' del nostro pittore, ma cominciano a fornire qualche indizio sui motivi che hanno reso la sua vita tanto inquieta e cominciano a dare ragione delle stranezze di certe sue scelte.
Di tali inquietudini e stranezze la pittura non sembra, a prima vista, conservare molte tracce: precisa e preziosa, ferma e solida com'è, quasi una lenta meditazione sulla natura per contemplarne la bellezza, per sottolinearne la concretezza e per rivalutarne la fisicità. Ma è appunto questo ad essere strano, anticonvenzionale, spregiudicato, perché avviene proprio nel momento del trionfo tanto dell'idealismo devoto, quanto del barocco celebrativo più fantasioso e complicato; si considerino infatti, per esempio, da una parte i prodotti guercineschi e quelli della tarda scuola reniana che contemporaneamente trionfavano in Emilia; e dall'altra l'opera dei nuovi artisti romani, come Pietro da Cortona e Gian Lorenzo Bernini. Al confronto quella del Cagnacci risulta un'arte di concezione assolutamente 'laica' e un bel po' fuori dal suo tempo, da un certo punto di vista arcaica, ma da un altro precorritrice di future, ben più disinibite esperienze. In questo senso è in un qualche rapporto con le vicende umane del Cagnacci; essa inoltre rivela un fondo di pragmatico lirismo abbastanza consonante col suo temperamento umano: sostanzialmente incline al sentimento, alla fedeltà,alla normalità, alla concretezza; e nello stesso tempo orgoglioso e ostinato: da cui le trasgressioni alle regole della società e della moralità del suo tempo, e le competizioni ed i conflitti con i colleghi.
Forse sono state più le circostanze che il carattere ad incidere sul destino del nostro "lunatico guascone errante", da un illustre contemporaneo definito felicis ingenii pictor, sed infelicis fortunae. Chissà, se non avesse incontrato la Teodora forse sarebbe stato meno lunatico, meno guascone, meno errante e... più fortunato.
La Teodora, la Giovanna, la Maddalena, dunque: ma saranno state queste tre donne - dato che qui dovremmo parlare appunto di donne - le sole donne della sua vita?
Veramente sappiamo di altre tre: una però è la madre, madonna Livia Serra, morta verso il 1640; le altre sono le sorelle Virginia e Lucia, nate come lui a Santarcangelo, ma più giovani di qualche anno. Direi di lasciar perdere la madre, che tuttavia per le sue buone parentele cesenati rivestì certamente un ruolo importante nella vocazione e nella formazione, se non nella carriera artistica del figlio, e che forse ebbe una parte non piccola nelle sue sventure (fu lei ad accompagnare nottetempo la Teodora nel luogo segreto in cui poi fu arrestata, e a rivelarlo al marito); ed occupiamoci invece, brevemente, delle sorelle.
Il loro nome salta fuori di tanto in tanto, quasi solo per questioni di denaro e di interesse, e la loro storia non sembra mai veramente interferire con quella del pittore; di cui però ricevono l'eredità, "essendo morto a Vienna senza testamento" e, naturalmente, senza altri eredi diretti (che ne sarà stato della Maddalena? Certo non poteva vantare nessun diritto legale se non l'aveva sposato).
A Virginia e Lucia il padre Matteo aveva donato tutti i suoi averi fin dal 1643, lasciando al figlio discolo solo la 'legittima', dalla quale però dovevano essere detratte le spese sostenute dalla famiglia per la sua educazione a Bologna e a Roma, puntigliosamente elencate, e addirittura il valore di pochi capi di biancheria che aveva prelevato da casa senza permesso in occasione di un suo soggiorno di lavoro a Saludecio nel 1627: il vecchio aveva buona memoria e non intendeva perdonare niente al figlio, già quarantenne, ma ancora fonte di preoccupazione e di discredito per tutta la famiglia. Le figlie risultano predilette dal padre, che appunto motivava la sua donazione ex causa dilectionis; d'altra parte esse erano ormai irrimediabilmente zitelle, forse anche a causa del comportamento sconsiderato di Guido.
Alla morte del fratello Virginia e Lucia erano anziane e si può dire che non muovessero passo senza il consiglio e l'assistenza dei Padri Teatini, presso la cui chiesa in contrada Sant'Innocenza andarono addirittura a risiedere nel 1665, dopo aver acquistato una casa dal pittore Lorenzo Gennari (che in gioventù aveva abitato a Roma presso il Guercino proprio insieme al Cagnacci: anche questa una strana coincidenza). Dovevano conoscere abbastanza poco, e stimare anche meno, il loro fratello; con lui avevano condiviso quasi solo gli anni della fanciullezza a Santarcangelo, perché egli, appena quindicenne, se ne era andato via, lontano, ad apprendere quell'arte ambigua che poi esercitò così male: anziché a gloria del Signore - sicuramente avranno pensato con sincera amarezza le due anziane 'ragazze' - per soddisfare la superbia, la vanità, la malizia dei signori. I saltuari e burrascosi ritorni a casa del pittore, più che incontri utili per una vera conoscenza, per una reciproca comprensione, debbono essere stati fonte d'ansia e di turbamento per tutta la famiglia.
Nei documenti che riguardano le sorelle Cagnacci posteriori al 1663, cioè alla morte di Guido, non si rintraccia nei suoi riguardi confronti una riga, un'espressione, una parola di compianto, né un moto di curiosità, ma solo preoccupazione ed avidità. Ereditarono tutto il frutto del lavoro viennese del fratello: crediti e dipinti; di questi ultimi si sbarazzarono per corrispondenza, senza nemmeno vederli e senza trattenerne neanche uno per ricordo, e ne ricavarono 1925 lire austriache di dieci soldi, che furono pagate a Venezia nel 1667, dopo un paio d'anni di querule proteste ("Il danaro è di due povere donne et stando noi prive per tanto tempo del detto danaro veniamo a provare molto danno nel guadagno, che intanto ci fruttarebbe detto soldo, col quale avessimo a sollevare la nostra povertà e miseria", scrivevano nel febbraio del 1665). Naturalmente vollero essere sepolte nella chiesa dei Teatini, che accolsero volentieri, insieme ai loro cadaveri, tutte le loro consistenti sostanze, già rimpinguate dall'eredità del pittore. Virginia morì nel 1689; Lucia era morta nel 1665, ancora prima dell'arrivo dei soldi da Vienna.
In queste storie cagnaccesche spesso persone, luoghi, avvenimenti lontani ad un certo punto si avvicinano, si incontrano, si intrecciano curiosamente, ma non per maliziosa abilità di chi faticosamente cerca di metterli in ordine. Il paziente ed esausto lettore avrà notato come il destino sembra essersi divertito a mescolare vicende diverse e lontane, a mettere in relazione persone estranee, a creare insomma incredibili coincidenze dall'inizio alla fine. Così è anche in quest'ultimissimo, breve 'codicillo'.

Codicillo

Nella contrada di Sant'Innocenza, vicino alla chiesa dei Teatini,dove Virginia e Lucia vanno a stabilirsi nel 1665, abitava una pia e illustre vedova loro coetanea: la contessa Teodora Ricciardelli. Le due sorelle dovevano ben conoscerla, perché quarant'anni prima, in occasione del suo tentato matrimonio e della sua fallita fuga d'amore con Guido, era stata ospitata e anzi nascosta (obtorto collo) per ben due giorni e due notti proprio nella loro casa, nella contrada di Sant'Agostino.

Le tre anziane donne erano divise dall'appartenenza a ceti sociali diversi, e forse da vecchi e più o meno coscienti rancori, pudori, sensi di colpa. Ma ora le circostanze le portavano ad incontrarsi spesso, forse quotidianamente, alle splendide funzioni ed alle sonore prediche dei buoni Padri Teatini. Perché anche la signora contessa Teodora era una loro devota, e anzi aveva con essi ottimi rapporti: tanto che ad un Teatino, padre Antonio Maria Rivani, nel 1675 dettò e affidò il suo testamento.

Forse ignorava che proprio i Teatini, nell'ormai lontanissimo autunno del 1628, appena ricevute le confidenze di Matteo Cagnacci, si erano 'felicemente' adoperati per salvare il suo honore interrompendo in extremis una certa sua fuga ed un certo suo sogno d'amore; forse il più grande, e certo l'unico che era stato sul punto di realizzarsi davvero.

Il Cagnacci e le sue donne: cronologia

·                                 1599. Nasce Teodora, dai conti Guido Stivivi di Rimini e Orivia Gerondani di Urbino

·                                 1601, 19 gennaio. Nasce Guido, da Matteo Cagnacci di Casteldurante e Livia Serra di Cesena, a Santarcangelo (dove la famiglia risiede dal 1594 circa)

·                                 1603, 16 ottobre. Nasce Virginia, sorella di Guido; l'anno successivo, probabilmente, nasce l'altra sorella, Lucia

·                                 1616 c. Matteo Cagnacci si trasferisce con la famiglia a Rimini; a Santarcangelo continua ad abitare Francesco Cagnacci, fratello di Matteo e zio di Guido

·                                 1617-22. Guido studia da pittore a Bologna e a Roma (nel 1622 è col Guercino)

·                                 1623. La contessa Teodora Stivivi sposa il sessantenne conte (e capitano) Battaglino Battaglini (vedovo di Giovanna Illari), da cui avrà tre figli

·                                 1623-28. Presumibilmente in questi anni Guido lavora a Rimini e nel territorio fra Romagna e Marche

·                                 1625. 13 agosto. Muore il conte Battaglino Battaglini, marito di Teodora; poco dopo (ma entro l'anno) muoiono anche la madre di Teodora, Orinzia, ed i suoi due figli maschi, Francesco e Ludovico.

·                                 1627. 8 settembre. Guido si impegna a dipingere la cappella del Santissimo Sacramento di Saludecio (che non porterà mai a compimento), per la quale riceve pagamenti fino al 25 aprile 1628

·                                 1628, 20 ottobre. Contratto di matrimonio, scritto ma privato, fra la contessa Teodora Stivivi ved. Battaglini e il pittore Guido Cagnacci, cui segue un tentativo di fuga dalla città. La contessa viene catturata e rinchiusa nel convento riminese delle "Convertite". Guido era già stato bandito dalla città, non sappiamo per quale motivo, ma forse per la relazione con la Teodora

·                                 1629, febbraio-maggio. "Processo fabricato nella corte episcopale di Rimino contro alla signora Teodora Stivivi de'Battaglini" ad istanza del cavalier Ludovico Battaglini e Flaminio Stivivi. Il verbale degli interrogatori dei testimoni giunge a Roma, Sacra Congregazione dei Vescovi e Regolari, il 25 maggio

·                                 1630. La contessa Teodora viene liberata dal convento-prigione delle "Convertite" e va ad abitare presso i cognati, conti Ricciardelli

·                                 1631, 11 ottobre. Guido ottiene un rescritto in suo favore (revoca del bando da Rimini?) dal Presidente di Romagna; il 14 nov. è a Rimini e si impegna, unitamente al padre Matteo, a pagare entro l'anno successivo al Tesoriere di Romagna in Faenza la somma di 15 scudi. Dipinge in questo periodo la pala per la chiesa dei Carmelitani di Rimini (chiesa di San Giovanni Battista).

·                                 1632. 7 marzo. Guido è a Rimini e rivendica la validità del contratto matrimoniale firmato il 20 ottobre 1628, alla presenzadi due testimoni, dalla contessa Teodora

·                                 1632. La contessa Teodora Stivivi ved. Battaglini sposa il giovane nipote Vincenzo Ricciardelli, da cui avrà due figli maschi (1633 e 1636).

·                                 1635. Data che compare, insieme alla firma del Cagnacci, nella pala dipinta per la Compagnia di San Giuseppe e Sant'Eligio di Santarcangelo (ora nella Collegiata)

·                                 1636. 5 aprile. Giovanna, figlia del quondam Sebastiano muratore di Serravalle, dona a Guido tutte le sue sostanze

·                                 1637. 27 aprile. Giovanna Battaglini, figlia tredicenne delquondam capitano Battaglino Battaglini e di Teodora Stivivi, entra nel convento riminese di San Sebastiano per farsi monaca

·                                 1637-38. Guido lavora nelle Marche e il 6 dicembre 1637 riscuote il pagamento della pala con la Maddalena da parte delle Benedettine di Casteldurante (Urbania)

·                                 1640 c. Muore a Rimini Livia Serra, la madre del Cagnacci

·                                 1640-45. Dopo un periodo di inquieti spostamenti fra Marche,Emilia e Veneto Guido so stabilisce a Forlì; al 7 aprile 1642 e al 12 settembre 1643 datano due contratti per la decorazione della cupola della cappella dedicata alla Madonna del Fuoco nella cattedrale di Forlì. Oltre ai due grandi quadri per questa cupola (Pinacoteca di Forlì) dipinge il San Giuseppe per l'oratorio dei Falegnami, il Sant'Antonio da Padova per la cappella Morattini in Cattedrale, il Miracolo di San Giovanni Evangelista ad Efeso, forse per i Filippini (ora a Rimini, Cassa di Risparmio): sono i suoi ultimi quadri sacri di destinazione pubblica

·                                 1643. 28 gennaio. Matteo Cagnacci fa donazione di tutti i suoi beni alle figlie Virginia a Lucia

·                                 1644. All'inizio di quest'anno o alla fine del precedente ritorna a Forlì il nobile Guglielmo Gaddi, protonotario apostolico, che dal 1641 era stato governatore di Rimini.

·                                 1645. Probabilmente già all'inizio dell'anno Guido è costretto a lasciare Forlì senza concludere la decorazione della cupola della Madonna del Fuoco, che il 30 settembre viene commissionata al bolognese Angelo Michele Colonna. Si muove fra Cesena, Bologna, Ferrara e Faenza. Manterrà buoni rapporti con i forlivesi marchesi Albicini, che anche in seguito gli commissioneranno alcune opere; forse con Giuliano Bezzi, che gli dedica due componimenti in versi (ne Il Torneo, Bologna 1645), e con Francesco Scannelli, che lo citerà nel suo Microcosmo (Cesena 1657)

·                                 1646. 20 ottobre. Guido è presente a Cesena dove fa da compare al battesimo del figlio del pittore "burgundo" Roberto Guè o Goer

·                                 1647. Guido sembra essersi stabilito a Faenza sotto la protezione degli Spada (due lettere al marchese Albicini di Forlì del 4 settembre e 22 ottobre; contratto per una lapide in onore del cardinal Bernardino Spada, 30 dicembre). A Faenza dipinge tra l'altro la Madonna della Rosa e il Sant'Andrea (entrambi a Forlì, già coll. Albicini)

·                                 1648. novembre. Teodora Stivivi rimane vedova del secondo marito, Vincenzo Ricciardelli

·                                 1648 - 1658. Guido si trasferisce a Venezia sotto falso nome (Guido Ubaldo Canlassi da Bologna); probabilmente è già con lui Maddalena Fontanafredda quondam Domenico da Cesena. Entrambi rimarranno a Venezia almeno fino al 1658, abitando nel centro più animato e internazionale della città, dove il pittore ha anche lo studio, con scolari e aiutanti (Viani romagnolo, Diamantini marchigiano, Bonanni siciliano, e forse il francese Goer). E' disprezzato da Marco Boschini e apprezzato da Guido Mazzoni (che gli dedica un sonetto (1661); entra in competizione con Pietro Liberi. A questo periodo spettano alcuni capolavori come la Maddalena di Monaco, l'Europa Molinari-Pradelli di Bologna, i due celebri David di Columbia e di Roma, la Donna che batte i cagnacci dei principi Borromeo (Isola Bella, Novara), Lia e Rachele di Sua Maestà la Regina d'Inghilterra (Hampton Court), alcune Lucrezie e Cleopatre, forse anche la grande Conversione della Maddalena di Pasadena, ecc.

·                                 1658, 13 e 19 settembre. Guido acquista un "capanno" sul porto di Cesenatico

·                                 1658, fine, o 1659, inizio. Guido e Maddalena Fontanafredda lasciano Venezia per Vienna, su invito della corte imperiale

·                                 1659-63. Guido lavora a Vienna per l'imperatore Leopoldo I e per la sua corte, come lui stesso affermava in lettere ora perdute, spedite al Gionima a Venezia nel 1660 e 1661. Al periodo viennese sono generalmente attribuiti, oltre al Ritratto dell'Imperatore, il San Girolamo e la Morte di Cleopatra del Museo di Vienna, la Cleopatra di Brera, l'Addolorata di Monaco, l'Artemisia di Dresda ecc.

·                                 1663. Guido Muore a Vienna

·                                 1663. "Guido Cagniazo di Romagna Pittor, che occupa il primo luogo nel colorito, ben che ora si ritrovi al servitio del Imperatore riconosce per stanza questa inclita città; qui doveria la mia penna stendersi a propalare il valore di questo Virtuoso, ma si come tratto succintamente degl'altri seguirò l'istesso stile, solo [dirò] che è generalmente proclamato per il primo penello de nostri tempi": questo elogio di G. Martinioni è stato pubblicato dal Sansovino nella sua Venetia città nobilissima (p. 22) proprio nell'anno in cui il pittore moriva a Vienna

·                                 1665, 20 ottobre. Virginia e Lucia Cagnacci, sorelle di Guido, acquistano una casa vicino alla chiesa dei Teatini, in parrocchia di Sant'Innocenza, dallo speziale e pittore bolognese Lorenzo Gennari, già condiscepolo di Guido presso il Guercino. Lucia muore due mesi dopo, il 20 dicembre

·                                 1667, 11 luglio. Virginia Cagnacci rilascia quietanza per aver riscosso il saldo dell'eredità del fratello

·                                 1675, 8 ottobre. Testamento della contessa Teodora Ricciardelli,che nel 1681 vi aggiungerà un codicillo a beneficio della sua serva Lucrezia Morri di Cesenatico

·                                 1682, 29 aprile. Morte della contessa Teodora Ricciardelli

·                                 1689, 4 dicembre. Morte di Virginia Cagnacci

·                                 1693, febbraio. Morte di suor Maria Colomba, al secolo Giovanna Battaglini, figlia della contessa Teodora Stivivi e del conte Battaglino Battaglini

 

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